La maggior associazione di non vedenti accusata di cattiva gestione e di scarsa democrazia interna

Unione Ciechi, riserva di caccia dei partiti

Mettetevi nei panni di Alberto Villa, giovane docente dell’università Bocconi di Milano nonché animatore del Rotary e volontario dell’onlus (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) Le Professioni Milanesi. Villa dedica gran parte del suo tempo libero ai ciechi. Sostiene che il modo più rapido e pratico per liberarli dal loro isolamento è insegnargli a padroneggiare il pc. Cioè imparare tutti quei programmi (di archiviazione, di elaborazione testi eccetera) che, soli, consentono a un non vedente di lavorare in un ufficio al pari di un vedente. «Premessa alla conquista di queste competenza e autonomia professionale - precisa Villa - è la conoscenza dei programmi Windows che, essendo i più diffusi, sono quelli adottati dalla quasi totalità degli ambienti lavorativi». Eppure, Windows è un sistema che è stato a lungo osteggiato dall’Uic (Unione Italiana Ciechi), la maggior associazione di categoria. E da qui viene il disagio di Villa. Che si ritrova a organizzare corsi di formazione per ciechi nonostante - e a volte contro - l’Uic. «Non è che mi osteggiano apertamente, ma non colgono l’opportunità. Con i miei corsi, assolutamente gratuiti (e gli unici utili per conseguire l’Ecdl, il cosiddetto patentino internazionale del pc), ho indicato ai non vedenti la strada per comunicare liberamente col mondo informatico e imparare un mestiere. Ma l’Uic preferisce proseguire sulla vecchia strada: i corsi che organizza sono pochi e in gran parte ancora basati sul sistema Dos, che non soltanto è tecnologicamente obsoleto, ma non ha neppure valore propedeutico per chi voglia in seguito avvicinarsi a Windows».
Comprensibile l’imbarazzo di Villa: come si fa ad attaccare, seppur per nobili fini, un sodalizio benemerito come l’Uic? Come osare, dal pulpito dei normodotati, criticare l’autogestione della maggiore associazione di ciechi? Così Villa e i suoi preferiscono mettersi la mordacchia dei silenti e opporre, al conservatorismo tecnologico (o quantomeno al lento aggiornamento) dell’Uic, le loro buone azioni: «Noi continueremo a organizzare corsi gratuiti sino a quando l’Uic non sarà in grado di soddisfare, rispettando il medesimo livello qualitativo e chiaramente gratis, una domanda di specializzazione che è potenzialmente molto elevata». Già: il problema è che la maggior parte degl’interessati ignora l’iniziativa di Villa. Che si limita a far propaganda alle proprie iniziative in maniera discreta: qualche annuncio che poche radio hanno accettato di ospitare e un sito con l’elenco dei corsi: www.corsi-zotti.it (informazioni allo 02/70.00.10.00). Risultato: il grosso dei ciechi o non fa alcun corso o frequenta quelli stantii dell’Uic.
Ma se Villa e suoi collaboratori si astengono dal polemizzare con chi, pur avendo la responsabilità di gestire un’associazione palesemente non efficientissima sul piano formativo, resta comunque al riparo di tutta la considerazione che la cecità merita (come non farsi venire il magone dinanzi a un cieco di quasi 70 anni, dirigente Uic, che durante una cerimonia per la raccolta di fondi chiede di toccare il Gabibbo, «così finalmente posso farmi un’idea di com’è fatto»?), se Villa, dicevamo, non s’azzarda a criticare i capintesta dei ciechi, altri ciechi non hanno di queste remore. «L’Uic si preoccupa soprattutto di spendere i soldi pubblici per organizzare non già corsi per i ciechi che vogliono imparare il pc, ma per chi, in questi futuri corsi, dovrà insegnare» dice Mario Palma, di Napoli, noto negli ambienti dei non vedenti per le sue molte lettere di protesta («che i quotidiani nazionali non mi pubblicano mai») contro «la pessima gestione dell’Uic». «Ho partecipato a un dei loro corsi e ho provato a sostenere l’esame finale: la prova non era al computer, che manco c’era, ma consisteva in un colloquio di cultura generale, nel corso del quale mi hanno interrogato sulla retinite pigmentosa! Sono inefficienze e sprechi che gridano vendetta: ma come attendersi che le cose possano cambiare se, nel mondo di noi ciechi, non c’è il minimo di pluralismo associativo? I dirigenti sono tutti legati al centronistra e, in cambio di voti, ricevono finanziamenti che poi spendono senza render conto a nessuno. Anche nelle piccole cose: possibile che negli enti controllati dall’Uic i dipendenti imparentati coi dirigenti abbondino? E sarà un caso che i figli dei dirigenti dell’Uic si rivelino adattissimi a insegnare (retribuiti, ovviamente) nei corsi di formazione?».
«Il malcontento verso l’Uic è più diffuso di quanto si creda» spiega Carlo Carletti, ex consigliere nazionale dell’Uic, dalla quale è uscito in disaccordo per fondare l’Aciva (Associazione Ciechi Ipovedenti Vedenti Assieme), sodalizio locale di Chieti, poi federata all’Anpvi (Associazione Nazionale Privi della Vista e Ipovedenti, pure antagonista dell’Uic), di cui Carletti è coordinatore regionale. «Il nostro associazionismo ha conosciuto la democrazia nominale soltanto nel 1978, quando, a seguito dello scioglimento dei cosiddetti “enti pubblici inutili”, l’Uic è stata privatizzata. Abbiamo gioito della fine del monopolio associativo, ma per poco: ci siamo resi subito conto che l’Uic era rimasta, sul piano del potere effettivo, quella di sempre: incassa le provvidenze pubbliche per i servizi destinati all’intera categoria e gestisce, per nomina politica, una serie di enti pubblici (in eterna via di liquidazione) per l’assistenza ai ciechi». Farsi carico di questi enti non è impegno da poco. «Ce ne sono di ricchissimi, per esempio l’Istituto S. Alessio di Roma ha un patrimonio immobiliare di oltre 400 miliardi, - continua Carletti - che i partiti lasciano volentieri nelle mani dell’Uic, in cambio di puntuali raccolte di voti a ogni elezione. In tanto clientelismo non c’è spazio per la democrazia effettiva. Il cieco che ha bisogno di assistenza, dai corsi di riabilitazione a quelli di formazione, deve rivolgersi obbligatoriamente all’Uic, che li gestisce per conto dello Stato in regime di quasi monopolio: valuto l’entità di questi finanziamenti pubblici in una trentina di miliardi l’anno. L’origine di ogni male sta nella duplicità dell’Uic, che è insieme associazione di tutela ed erogatrice di servizi pubblici. Per cui, quando un cieco è costretto a rivolgersi all’Uic per beneficiare di questi servizi, gli viene subito fatto capire, con ogni mezzo, che gli conviene iscriversi da loro. Difficile resistere alla pressione. Eppure l’Uic continua a perdere iscritti: vuol dire che il malcontento è elevatissimo». Purtropp, a fare le spese di questo riflusso sono anche le associazioni minori: una buona percentuale dei 130 mila ciechi italiani non aderisce ad alcuna associazione, come rileva Carletti sul giornale telematico Settimana Braille (www.setbra.it). Le cifre è prudente lasciarle perdere, giacché il numero di iscritti dichiarato da un’associazione è dimezzato da ogni altra.
E l’Uic, come replica? «Tutto a posto, non abbiamo nulla da rimproverarci» dice il vicepresidente Enzo Tioli, docente universitario a Padova. «Ogni cosa è migliorabile e siamo aperti al contributo di chiunque voglia darci una mano» dice Franco Censabella, presidente dell’Uic lombarda, che nello specifico dei corsi rinvia all’Istituto Ciechi di Milano, uno degli Ipab (istituto pubblico di assistenza e beneficienza) in via di liquidazione. «I nostri corsi sono adeguati alle esigenze della categoria e tutte queste divergenze nascono dalla mancanza di sintonia tra un docente della Bocconi e l’Uic» dice il commissario liquidatore Rodolfo Masto. «I corsi per Windows non sono per noi una novità» spiega Franco Lisi, coordinatore del centro informatico dell’Istituto Ciechi di Milano. «Organizziamo corsi direttamente e siamo convenzionati con l’università Statale di Milano; presto lo saremo anche con la Cattolica. Forse già da novembre saremo accreditati a fare corsi per ottenere il patentino europeo».

La Smonda - 1° agosto 2001 - n. 32